Ogni anno, la data del 6 febbraio, evoca il tragico destino che strappò alla tifoseria ionica, il suo mito, Erasmo Iacovone, calciatore nativo di Capracotta (Isernia) che, in umiltà, giungendo sullo Ionio, in quelle due stagioni calcistiche (1976 /77 e 1977/ 78), fu considerato il Messia del calcio rossoblù poiché, con i suoi goal, dette all’ambiente ionico la speranza che il sogno serie A, mai raggiunto fino a quegli anni (e tuttora tabù per la Città dei Due Mari), potesse concretizzarsi nella seconda magica annata.
Giunse a Taranto per colmare il vuoto presente nel reparto offensivo ionico, alla ricerca, da sempre, di una punta che potesse spezzare l’inerzia dell’incontro e, soprattutto, infiammare la “torcida” rossoblù che, abilmente dalla Curva Nord dell’allora “Salinella”, strutturato in tavoloni di legno e con telaio metallico in tubi “Innocenti”, incuteva timore sia negli avversari che nelle terne arbitrali dell’epoca, con il rullio dei tamburi ed il battito, ritmato, dei piedi sui tavoloni, quasi fossero segnali di guerra degli indiani del Far West, moto che spingeva la squadra anche a compiere imprese, sportive, che venivano descritte negli annali e scolpite nelle menti della generazione di tifosi, spettatori affezionati ed accaniti verso i colori rossoblù e fortunati nel vedere le gesta del mitico bomber ionico, a cui per la grande riconoscenza, venne dedicato lo stadio tarantino ed intitolata una delle arterie stradali limitrofa il tempio del calcio ionico.
Il quesito che l’Italia calcistica si pose, all’indomani della sua scomparsa, fu la seguente: come mai l’esigentissima piazza rossoblù, amasse questo calciatore, sconosciuto, prima di approdare sulle rive dello Ionio? Ragazzo, ripetiamo, umile, molto affezionato ai valori fondamentali, tra i quali spiccavano quelli familiari, aveva un carattere buono, un po’ timido, schivo diremmo, molto altruista con i propri compagni, ma sempre tra i primi, in allenamento, a sudare per dare il massimo, in modo di far gioire la tifoseria, attenta nel notare le sue doti tecniche e di qualità ma, soprattutto, l’attaccamento alla maglia a strisce verticali rosso e blu, quasi fosse una vera e propria seconda pelle.
Divenne un beniamino della tifoseria ionica, il vero idolo della Nord e della tifoseria organizzata, subito, tra il battito di mani, ed il rullare dei tamburi, nonché il battito ritmato sui tavoloni dell’allora Salinella, l’urlo che lo accompagnava nei momenti topici del match: “Iaco, Iaco, Iacovone!” e, ad ogni suo goal (mitico, quasi l’icona del calcio ionico, quello realizzato nel derby contro il Bari), partiva la “standing ovation”, generalmente non meno di 5 – 6 minuti, con la predetta invocazione, nonché scatenava il tripudio massimo colorante la Nord, la gradinata, il tutto tra il frastuono, i fumogeni bicolori, lo sventolio di vessilli e sciarpe, ovviamente rossoblù, che, in realtà incuteva il timore inconsapevole sia negli avversari che nelle terne arbitrali, tanto che queste, nei confronti della squadra rossoblù, avevano una forma di trattamento di garanzia, perché consapevoli del palato fine e del valore della squadra, di quella formazione in cui Erasmo, oltre ad essere un leader, divenne immediatamente il simbolo del riscatto di una Città tesa ad uscire dall’anonimato di tanti anni di amarezze, non ultimo un decennio, precedente di serie C (era Di Maggio), coincisa con la vittoria a tavolino, del campionato di terza serie, per lo scandalo che vide coinvolte Casertana e Trapani.
Il Taranto di Giovanni Fico si apprestò, infatti, nel torneo 1977 – 78, a vivere un campionato con una rosa di buone individualità e in cui spiccavano, per importanza, Franco Selvaggi e Graziano Gori, due atleti veri beniamini per il pubblico del “Salinella”.
Scoperta dell’allora Presidente Giovanni Fico, Erasmo fu acquistato nel mercato di riparazione invernale della stagione 1976 – 77, dal Mantova, per l’allora cifra iperbolica di 400 milioni di lire e, in 27 gare, segnò 8 goal.
La stagione successiva, iniziò con un goal nella sfortunata trasferta di Cremona (alla 2^ giornata con gli ionici sconfitti per 2 a 1), poi la domenica successiva autore della rete, per il momentaneo vantaggio sul Rimini ( che prese il pareggio e chiuse sull’1 a 1), quindi a Catanzaro segnò la sua terza marcatura (in 4 gare) ed arrivare alla consacrazione con il goal con cui i rossoblù superarono il Modena. Nella trasferta sarda, a Cagliari, piazzò il quinto sigillo, quello dell’iniziale vantaggio, in un pirotecnico incontrò che terminò 2 a 2.
Dopo un paio di domeniche, all’asciutto, nel confronto con i romagnoli del Cesena decise le sorti dell’incontro (1 a 0) per poi passare al derby storico con il Bari, quando ricevuto il pallone beffò l’estremo ospite con un pallonetto che portò in estasi i tifosi ionici che avevano gremito come un uovo il Salinella
Nella gara interna con la Sambenedettese realizzò l’ultimo goal tra le mura amiche per il netto 2 a 0 sugli adriatici.
Il 5 febbraio del 1978, a Taranto, giungeva la Cremonese, formazione molto coriacea, ma che veleggiava nelle posizioni medio basse della classifica. In quella gara, proprio Erasmo si dannò l’anima per superare il portiere Ginulfi (estremo difensore delle porte, in serie A, del Vicenza, ma ricordato come super portiere della Roma), ma quella partita sembrò maledetta, tanto che i rossoblù presero tre pali che si sostituirono alla difesa lombarda e al portiere.
Il pareggio che ne scaturì deluse il pubblico, all’epoca, abbastanza numeroso sugli spalti dell’impianto del rione Salinella per il risultato ad occhiali nonché portò a qualche divergenza, nel chiuso degli spogliatoi, sicuramente da chiarire il martedì successivo, come aneddoto venuto a conoscenza anni dopo, frutto di una prestazione che, consapevolmente, certificava l’aver perso un’occasione, forse irripetibile, di rimanere ancorati alle dirette concorrenti nella corsa alla A, per le altre due posizioni d’onore, alle spalle dell’invincibile formazione marchigiana dell’Ascoli, allenata dalla buonanima di Mimmo Renna, sotto la presidenza di Costantino Rozzi, articolata con un attacco che rispondeva ai nomi di Ambu e Quadri.
Nel dopo gara, gli atleti scapoli del Taranto decisero di andare a trascorrere la serata in un noto locale, ubicato nella Salina Grande, sulla strada provinciale collegante la Appia (direzione San Giorgio Jonico) e di collegamento alla Taranto Talsano.
Erasmo era solo; la moglie Paola, in attesa della nascita della prima figlia, si trovava a Carpi, dai genitori. Convinto dai compagni a raggiungerli nel locale, dopo aver sentito la moglie e manifestatale l’amarezza per una partita sfortunata (ed alcuni pali colpiti) con la sua mitica Citroen Dyane 6, uscì di casa e si avviò per una serata distensiva.
I compagni, Gori in testa, al suo arrivo gli preannunciarono uno spettacolo di cabaret nel dopo cena.
Finito il pasto, il gruppo “scapoli” volle tirare tardi, ma lui preoccupato per la moglie Paola e sempre amareggiato per la gara sfortunata, si avviò a casa, nonostante i suoi compagni, ed in particolare il suo compagno preferito, Adriano Capra, cercassero di convincerlo a restare.
Il destino, in quel momento, segnò la vita di Erasmo e si compì.
All’incrocio tra la via della Salina Grande, alle prime ore del mattino del 6 febbraio, un auto, a fari spenti, guidata da un pregiudicato, ad alta velocità ed in fuga per l’inseguimento della Polizia, perdendo il controllo, impattò violentemente con la Dyane 6 ed Erasmo fu sbalzato dalla vettura, morendo sul colpo. Si disse, successivamente, che l’impatto fu causato anche dall’alta velocità dell’auto (200 km orari), sta di fatto che il tam tam mediatico si ebbe nelle prime ore del giorno 6 febbraio.
Da quella domenica in poi, il ricordo ed il rammarico per quel destino tragico che strappò l’idolo della tifoseria ionica, accompagnò le sorti del campionato, la squadra, infatti scivolò nella pancia del centro classifica, ma al termine della stagione fu chiara una certezza; non si sarebbe trovato più un calciatore che avesse avuto tutte le doti umane, sportive, calcistiche simili a quelle dell’indimenticato Erasmo.
Infatti, a quarantaquattro anni dalla sua scomparsa (quest’anno avrebbe compito 70 anni, il prossimo 22 aprile), il suo nome viene rammentato anche in musica e, prima di Capodanno è stata presentata una canzone, dal titolo “Iaco” che, nel testo descrive le dote umane, innanzi tutto, tecniche, quelle rimaste scolpite nelle menti di chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare, come lo scrivente.
Erasmo, la promessa della tifoseria tarantina, rimane sempre quella.
Se mai, la nostra inimitabile squadra e i nostri vessilli, dovessero sventolare sui campi della massima serie, sicuramente Tu, da lassù veglierai ancor di più su questi ragazzi che, nel tuo nome, continuano a disputare campionati nazionali, quali posteri di quella generazione e squadra, nella speranza di rendere concreto il sogno di un’intera Città e della Provincia, ovvero poter toccare con un dito il cielo calcistico della serie A, per la tifoseria ionica, l’Olimpo pedatorio, quale chimera per tante generazioni di tifosi che da 95 anni hanno combattuto per trasformarlo da sogno a realtà.
Grazie Erasmo per averci fatto sognare e sperare, rimarrai sempre nei nostri cuori, da lassù veglia sulla nostra squadra e sulla inimitabile Città, noi ne siamo convinti e vedrai che potrai essere orgoglioso, da tarantino d’adozione, per le gesta della squadra di calcio in cui sei stato il simbolo dei suoi colori ed unico indimenticato idolo.
Fabrizio Di Leo