Torna sotto i riflettori la vicenda del fallimento della «Automarket srl», già nota come «D’Addario Auto srl», dichiarata insolvente dal tribunale ionico nell’ottobre del 2014. Un crac da 10 milioni di euro che coinvolge l’ex re delle auto e patron del Taranto calcio, Enzo D’Addario, insieme a dodici imputati tra familiari e professionisti che tra il 2008 e il 2014 hanno ricoperto ruoli chiave nell’azienda, tra amministratori, sindaci, revisori dei conti e membri del consiglio di amministrazione.
Secondo quanto riportato da Giacomo Rizzo del Quotidiano, l’accusa principale per tutti è quella di bancarotta fraudolenta in concorso. Nell’udienza preliminare di ieri, il pubblico ministero Remo Epifani ha chiesto il rinvio a giudizio per D’Addario, Giuseppe Pasca e Vito Grandinetti, entrambi ex componenti del collegio sindacale. Per loro, nessuna alternativa procedurale: solo il dibattimento ordinario.
Il 18 novembre, invece, sarà discusso il destino degli otto imputati che hanno optato per il giudizio abbreviato, mentre il pm ha già dato parere favorevole ai patteggiamenti di Valerio D’Addario (due anni con pena sospesa) e Giovanni Trani. Le difese, rappresentate dagli avvocati Raffaele Errico, Antonio e Carlo Raffo, Giovanni Vinci, Vincenzo Monteforte, Piero Paesanti e Leonardo Antonio Cassano, inizieranno le proprie arringhe il 20 novembre per i tre imputati ordinari, proseguendo poi il 4 e 18 dicembre.
Un ruolo centrale nel processo lo gioca la superperizia del consulente del giudice Pompeo Carriere, il dottor Francesco Antonio Palmisano, chiamato a dirimere i contrasti tra le perizie della Procura e quelle difensive. La relazione del perito, durissima, descrive la gestione della galassia D’Addario come “spregiudicata e fuori da ogni regola economica e giuridica”, ridimensionando l’ammanco dai 27 milioni inizialmente stimati a 10 milioni di euro, ma confermando un quadro di frodi e irregolarità sistematiche.
Secondo Palmisano, la famiglia D’Addario avrebbe “creato e controllato una rete di società solo per arricchirsi a danno di soggetti pubblici e privati: Erario, banche, fornitori, dipendenti e la curatela fallimentare”. Nel dettaglio, il consulente individua un vero e proprio sistema di “scatole cinesi”, con beni, denaro e immobili spostati tra società tramite fatture di comodo e operazioni inesistenti, con la complicità, secondo il perito, anche di sindaci e revisori dei conti che nulla fecero per impedire i reati, anzi li avallarono con relazioni compiacenti e omissioni di controllo.
Dall’esame dei bilanci e dei conti correnti emergerebbero operazioni bancarie ingiustificate a favore di D’Addario e dei suoi familiari, spese personali e viaggi pagati con fondi aziendali, oltre a una contabilità lacunosa e opaca. Solo a Enzo D’Addario viene contestata anche la bancarotta documentale, per aver distrutto o sottratto i libri contabili della società, rendendo impossibile ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari.
Per il magistrato inquirente, il crac non fu solo il crollo di un impero economico, ma il risultato di un disegno sistematico di distrazione di risorse, costruito su contabilità manipolate che travolse fornitori, dipendenti e creditori, lasciando un buco da 10 milioni di euro. Le accuse sono ora al centro delle difese che proveranno a smontarle o ridimensionarle.