di Alessandra Carpino
Esistono meta-narrazioni, “racconti nel racconto”, spesso non interpretate, alienate, sottovalutate, persino ignorate. Soprattutto quando il macrocosmo del racconto stesso rischia di fagocitare tutto con l’ossessione delle sue tematiche, con l’insistenza di una soluzione che tarda ad arrivare, coi labirinti degli enigmi che si snodano, con le scelte che si procrastinano fra ansia, sarcasmo ed esasperazione. E’ un esercizio complicato, accogliere il “senso dell’attesa”. Eppure diventa indispensabile, anche per sopravvivere. La meta-narrazione è quella di una squadra, di un gruppo sinergico, a tratti sconosciuto come quello del Taranto: un organico allestito con ritmo spasmodico, affatto propenso ad arrendersi nonostante il contesto surreale rischi di comprometterne qualsiasi resoconto puramente agonistico. Accanirsi nell’affermare come sia “inutile” parlare di “calcio giocato”, dimenticando la necessità di preservare la categoria professionistica in ogni modo, suona ingiusto. Anche al cospetto di atti dimissionari ai vertici, di contratti stracciati, di emorragie di atleti, di trattative avveniristiche o meno, di sussurri indistinti e sibillini, di gravissimi immobilismi. Normale che anche la precarietà dei risultati, che potrebbe essere vivisezionata sotto molteplici aspetti, inneschi un’atmosfera di preoccupazione: il coraggio di adempiere ad una missione non appartiene a tutti. Ma il rispetto, nella pancia dello stadio, nella stanza (depauperata) dei bottoni, nel dialogo, dagli spalti o davanti ad un foglio non dovrebbe mai latitare, soprattutto nelle avversità. Non può che adottare il paradigma più semplice e deciso, il Taranto: atteggiamento, lavoro, umiltà. Però la squadra ha bisogno di essere supportata, aiutata, e non solo moralmente attraverso la passione della tifoseria: urgono pragmatismo, chiarezza, solidità quotidiane, punti di riferimento. Ed è stato il suo stratega, Carmine Gautieri, a rivolgere un appello educato ma perentorio, affinché i suoi allievi non siano isolati, dalle esigenze più spicciole ai metodi obbligatori e dignitosi per svolgere la professione. Il laboratorio rossoblu non merita né abbandono né destabilizzazione: ed è il Gaucho ad elevarsi sì nel suo ruolo di allenatore, soprattutto in una vocazione pedagogica confermata e ribadita dopo ogni esibizione, dopo ogni punteggio acquisito, alla vigilia di ogni tappa di un viaggio drammatico già dalla sua inaugurazione. L’etimologia della parola “crisi”, mutuata dal vocabolario greco antico, offre interpretazioni diverse: “krisis” sottende alla “soluzione implicita al problema stesso”, schiude alla riflessione, alla valutazione, al discernimento. Crisi è “opportunità”. E’ presupposto di miglioramento, di crescita, di riscatto. Quasi “occasione”, la crisi. Crede nella sua squadra, mister Gautieri: predica “attenzione”, ricerca “serenità” attenuando l’inevitabile metabolizzazione degli eventi extra calcistici, elargisce “fiducia”: “La mia certezza è il gruppo che lavora sodo anche in emergenza: si esercita, cerca di migliorarsi senza lamentarsi- ha confidato- Me ne accorgo nello spogliatoio: mentre parlo, i ragazzi mi guardano negli occhi, ascoltano ed applicano i discorsi sul campo. Sono orgoglioso di allenarlo, finché posso lo difenderò. Ha sempre dato tutto e, secondo me, andrebbe tutelato”. Non può abdicare da quel senso dell’attesa di un futuro migliore, Carmine Gautieri: “Lo aspetto, con un pensiero positivo. Quando sono arrivato a Taranto, ero consapevole delle difficoltà che esistevano: ho sempre ribadito che quella ionica è una piazza che non si rifiuta, però è normale che anch’io attenda la svolta- ha spiegato con indole equilibrata ma carismatica- E’ un’azienda ed io sono a capo di tutto in una situazione simile, poiché i calciatori dipendono da me per quanto riguarda il campo”. “Voglio che i miei giocatori stiano bene, che a loro non manchi assolutamente nulla. Mi aspetto il futuro migliore, come l’aspettavo qualche settimana fa: non è arrivato ancora, la speranza c’è- il messaggio è esplicito quanto emozionante- Gli atleti devono essere seguiti a 360°: chi fa questo lavoro deve allenarsi con tante presenze al campo, affinché si possano individuare le figure con le quali comunicare. In questo preciso momento, qualcosa manca”. Non potrebbe essere altrimenti, ma in quel che resta del sodalizio rossoblu non sono più tollerabili trascuratezza e superficialità, nei confronti di un’equipe di professionisti costretta ad oscillare fra un cambio di proprietà ed una salvezza ostica da perseguire: “Mi aspetto che le situazioni possano svilupparsi positivamente quanto prima, il tempo trascorre inesorabilmente e noi abbiamo bisogno di capire dove dobbiamo arrivare. In questo periodo non lo sappiamo ancora- ha svelato Gautieri- Cerco sempre di estraniare il gruppo dalle vicende e dalle voci extra calcistiche, però posso garantire che si tratta di un compito delicato. Vorrei che al campo ci fossero dottori, massaggiatori, fisioterapisti, dirigenti, persone essenziali per il nostro confronto quotidiano. Generalizzo, non è un criterio valido solo per il contesto di Taranto: per esempio, dovrei conoscere le fasi di recupero di un giocatore infortunato, il momento in cui averlo nuovamente a disposizione”. L’infermeria si sta riempiendo in modo allarmante: Papazov avrebbe dovuto rappresentare un perno centrale della retroguardia ma la sua assenza è rinviata da tre settimane; Giovinco ed Ardizzone sono vittime di problemi muscolari evidenziati dai primi esami strumentali. “Un atleta è sempre a rischio infortuni. Occorrono determinate cure, i giocatori devono essere monitorati in maniera personale e precisa –ha commentato l’allenatore- I fattori che causano traumi fisici possono essere tanti: una volta, dopo dieci giorni di inattività, mi sono stirato camminando perché ero stressato psicologicamente. In questo periodo, registriamo molti infortuni e confluiscono aspetti tecnici, tattici, di preparazione atletica: ecco perché occorre diagnosticare, anticipare le debolezze, stilare i percorsi. Insisto: i giocatori vanno seguiti anche dopo la partita, attraverso le integrazioni, il dialogo, il luogo in cui dedicarsi ad eventuali terapie. E’ fondamentale ragionare sull’ottimizzazione dei tempi di recupero”. “Così non va bene: la gente e la stampa analizzano le prestazioni ufficiali e le esibizioni dei singoli, apprezzabili o insufficienti, oppure discutono circa la formazione migliore che io possa schierare – ha chiosato Gautieri- I cancelli sono aperti: io voglio che la città viva la squadra, voglio che i giornalisti assistano agli allenamenti per rendersi conto del tipo di lavoro svolto. E’ un invito, è bello poter seguire la propria squadra per comprendere ogni situazione in modo chiaro ed attraverso fonti dirette”.